Una domenica “in periferia”

Domenica 25 febbraio noi ragazzi del gruppo giovani di quinta superiore, grazie ai nostri animatori, abbiamo avuto l’opportunità di vivere una giornata presso il carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova.

Per essere ospitati in una casa di reclusione è necessario svuotare le tasche da qualsiasi oggetto materiale e il cuore da ogni pregiudizio riguardante il carcere e i carcerati. Siamo infatti entrati in una realtà estranea alla nostra quotidianità, lontana dalla nostra comfort zone, dalla quale eravamo vagamente sedotti a causa del fascino del male.

Siamo stati accolti dal cappellano della parrocchia del carcere don Marco Pozza, da alcuni volontari e catechisti che vi operano e da cinque testimoni che si sono resi disponibili a raccontare, con la voce tremante e con gli occhi lucidi, la loro storia.  Alfredo, Antonio, Armand, Carlo e Jacopo hanno avuto il coraggio di scavare nella parte più nascosta della loro anima per portare alla luce ai ragazzi che entrano in carcere la parte più buia della loro vita. Le loro sono storie di vite spezzate, calpestate, rinnegate, sono il loro sottosuolo da cui, però, ha preso avvio la loro rinascita.  Alfredo, Antonio, Armand, Carlo e Jacopo sono dei sognatori che hanno scelto di ritrovare la libertà. Tale libertà consiste nel ridare un senso alle loro giornate, di ritrovare un perché in virtù del quale svegliarsi il mattino.

Uno dei momenti più forti della mattinata è stata la celebrazione dell’Eucaristia alla quale abbiamo preso parte con un centinaio di detenuti comuni. Ebbene, guardando questi volti con lo sguardo curioso di chi si avvicina per la prima volta al carcere, è inevitabile pensare a ciò che hanno visto quegli occhi, alle parole che hanno pronunciato quelle voci, le stesse che si sono unite al nostro canto, a ciò che hanno toccato quelle mani, le stesse che abbiamo stretto per scambiare il segno della pace, della riconciliazione, del perdono.

Per concludere abbiamo vissuto un momento di convivialità con i cinque testimoni prima del loro rientro nelle celle. Ci hanno offerto alcuni prodotti dolciari, frutto del loro lavoro nella cooperativa Giotto, una delle tante associazioni che operano al Due Palazzi per fare in modo che ogni pena tenda alla rieducazione e rispetti i limiti di umanità come previsto dalla nostra Costituzione. In questo ultimo momento abbiamo avuto l’occasione di confrontarci a tu per tu con i cinque ragazzi, di sollevare perplessità, curiosità, domande sulla loro storia, sulla loro vita in carcere, sul loro punto di vista, sulle loro opinioni per costruirne una nostra.

Per entrare in carcere è necessario svuotare le tasche dalle nostre convinzioni per avere lo spazio necessario al fine di riporre una sola ingombrante domanda: che valore assumono il male, l’errore, il peccato di fronte alla mia vita? Fino a dove sono disposto ad usare misericordia? Tuttavia lo spazio nelle nostre tasche deve accogliere anche una nuova consapevolezza: il carcere non è un luogo di esclusione sociale ma di rinascita, dove la speranza deve prevalere sulla disperazione.

Martina Sartor

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